La tristezza è una delle più comuni emozioni negative che possiamo provare.
Spesso la gente suggerisce che sia importante essere tristi, per poter apprezzare i momenti in cui siamo felici.
A me questa sembra una scusa con cui tentare di giustificare il malessere che proviamo, perché non siamo capaci né di capirlo, né di lasciarlo andare.
Non esistono emozioni “cattive”.
Non c’è niente di male a essere tristi.
Ma comprendi la tua tristezza?
Sei in grado di capire per quale motivo la provi, lasciarla andare e tornare a stare bene?
Anche perché a nessuno piace stare male (e la tristezza rientra tra le emozioni che ci fanno stare male).
Oggi voglio aiutarti a capire meglio la tristezza per viverla in modo nuovo, lasciarla andare e non permetterle di offuscare la tua felicità.
- Da dove arriva la tristezza.
- Gli errori che ci imprigionano nella tristezza.
- Essere tristi non è sbagliato.
- Come lasciare andare la tristezza e riscoprire la gioia (con video pratico).
Iniziamo!
Tristezza: da dove arriva?
Mi capitava spesso di sentirmi triste, fino a non molto tempo fa.
Erano così frequenti i momenti in cui venivo pervasa da un paralizzante quanto inconsolabile senso di malinconia, di vuoto e di solitudine, a tal punto che negli anni mi ero persino convinta che fosse un tratto distintivo della mia personalità, o comunque qualcosa che si era sedimentato in me e trovava le sue radici nella mia infanzia e nel modo in cui ero cresciuta.
Fin da bambina infatti mi succedeva spesso di sentirmi triste.
Lo attribuivo al fatto di essere stata figlia unica, di non aver avuto molte occasioni per giocare allegramente con bambini della mia età.
Genitori molto più grandi di me, che spesso mi portavano a fare visita alle persone anziane che passavano le loro giornate nella malinconia e nel silenzio.
Niente gite scolastiche, niente feste con amichetti.
Nella mia mente si era creato una sorta di stretto legame di causa ed effetto tra il modo in cui avevo trascorso la mia infanzia e le emozioni che spesso mi trovavo a sentire.
Ero convinta che fosse inevitabile.
Ma inevitabile che cosa significa?
Che ero condannata a provare per sempre tristezza, fino alla fine dei miei giorni, perché non dipendeva da me ma dagli avvenimenti della mia vita!
Niente male come prospettiva, vero? ?
Ho provato a riflettere su che cosa significhi provare tristezza, in quali momenti la proviamo. Considerando che da un po’ di mesi è un’emozione che quasi non fa più parte di me. Qualcosa deve pur essere successo!
Ma cosa?
La tristezza ha indubbiamente a che fare con la mancanza. Che crea un senso di vuoto.
Quando ti senti triste, a che cosa pensi?
- A qualcosa che ti manca.
- A qualcosa che non hai più o a chi non c’è più.
- A qualcosa che sta per finire o che è finito.
Ma pensaci: in che direzione stanno andando i tuoi pensieri, quando senti questa mancanza, questo senso di vuoto?
Al passato in cui c’era qualcosa che oggi non c’è più.
O al futuro, anche prossimo, in cui qualcosa che magari adesso ancora hai, finirà o potrebbe finire.
Ti senti triste perché da giovane avevi tanti amici con cui passare serate spensierate e divertenti, ma negli ultimi anni ti ritrovi spesso solo, o sola.
Provi un senso di grande nostalgia e malinconia a ripensare al ragazzo con cui hai condiviso tanti momenti speciali e intensi ma ti ha lasciato e adesso non siete più insieme, e ne senti la mancanza.
Il tanto sospirato, meraviglioso viaggio che avevi programmato e sognato per tutto l’anno sta per finire e dovrai tornare alla noiosa e faticosa routine lavorativa.
Puoi anche sentirti triste senza un motivo in particolare perché senti che la tua vita sia vuota. Ancora una volta c’è una mancanza.
Ma che cosa, davvero, ti manca?
- Ti mancano gli amici, o ti manca l’allegria che hai provato in loro compagnia?
- Ti manca il tuo ragazzo, “quel” ragazzo, o i momenti di condivisione, le esperienze che avete vissuto insieme?
- Sei triste all’idea che finisca il viaggio, o sei triste all’idea di tornare a una vita in cui non riesci a provare emozioni positive?
- A un lavoro che non ami?
Se la tua vita ti appare vuota, che cos’è che ti manca?
Ti manca il divertimento, l’allegria, la passione, l’entusiasmo, la serenità, tutte quelle emozioni positive che magari hai provato in passato e che temi di non poter più riassaporare in futuro.
Una delle strategia meno efficaci ma più usate per affrontare la tristezza è correre.
E lo spiega bene Serena.
Scappare non serve a niente se sei triste
Di Serena Sironi.
Chi si ferma è perduto, dice il proverbio.
Vero! Mai fermarsi.
Sai che staresti male se dovessi farlo, perché sai che il segreto per stare bene è ottenere dei risultati, concretizzando ogni cosa in cui credi.
E lotti. Costi quello che costi.
Ma sarà proprio così?
Succede che a un certo punto qualcosa non va. Contento e soddisfatto a tratti, ma di fondo la tristezza è un ronzio assordante.
Ti senti vuoto e capisci che tutto quello che hai fatto non è servito a nulla. Una bellissima collezione di successi rinchiusi in un medagliere appeso alla parete.
Un mucchio di sforzi, ma cominci a credere che non riuscirai mai ad essere felice.
Eppure non ti sei mai fermato!
Ma se corri senza fermarti a vivere, allora sì che sei fermo!
Corri, corri, corri.
Corri dietro ai tuoi obiettivi, poi ti accorgi di non avere fatto un passo e, ora, ti senti sconfitto. Uno che non vincerà mai.
E forse hai provato anche questa sensazione.
Ma sai cosa accomuna tutto questo?
Tu hai perso la speranza!
Lì, fermo a subire la realtà. Resti così fermo che, se non ti sposti di lì, rischi di finire preda dell’angoscia, fino a finire sul fondo. Sempre più giù.
Ma puoi scegliere!
Puoi scegliere di stare in piedi e muoverti in una direzione ben precisa e, mentre l’angoscia se ne va, la tristezza passa in uno schiocco di dita. O quasi ?
Succede poi che ti volti, guardi indietro e non trovi niente.
Solo risultati vuoti che mai ti erano bastati.
Così, capite le regole del gioco ne cercavi un altro, da prendere più seriamente, uno che pensavi ti avrebbe davvero reso felice. Ma che felice non ti ha reso mai.
E quante volte, poi, sei andato dritto contro il muro!
Fermo, ad aspettare persone che, in fondo, sapevi non sarebbero mai tornate. E ti sei fatto ancora più male!
E così sono tante le ragioni per cui potresti essere triste, ma tutte legate al senso di mancanza.
Mancanza di cose, persone, possibilità, soluzioni, alternative.
Prima di spiegarti il segreto per superare la tristezza, lascio la parola ad Alessandra per ricordarti che non esistono emozioni “cattive”.
Essere tristi non è un problema, è un segnale
Di Alessandra Barigazzi.
La tristezza deve rimanere una spia, un segnale, un momento. Non può diventare un modo di vivere.
Eppure, per tantissima gente è così.
Gente che sta bene.
Gente cui non è mai mancato di che mangiare.
E lo shopping.
E le uscite con gli amici.
Però hanno fatto della tristezza il loro vestito.
Gente che “ha bisogno di soffrire ed ogni giorno muore un po’”.
Dico queste cose perché mi sono resa conto che per tanto tempo ho vissuto così.
Magari proclamando ideali opposti, ma nell’ultimo angolino del mio essere il posto più segreto e prezioso era dedicato alla tristezza. Perché non si sa mai capiti qualcosa di brutto.
Perché è più facile vivere triste e preoccupata per qualcosa che potrebbe essere, probabilmente sarà, visto le tante brutte cose che succedono, piuttosto che riconoscere che non mi è mai mancato niente e che posso iniziare da subito a vivere appieno il presente.
Che mi serve solo il coraggio del sorriso.
E questo non mi risparmierà i guai futuri (come non me li risparmierebbe la tristezza), ma, almeno, li vivrò una sola volta.
Con l’abito mentale della tristezza, invece, li vivo mille e mille volte, me li rumino continuamente nel cervello e nel cuore, fino a spremerne l’ultima stilla di succo.
Non è molto salutare.
Vivere tristi è come dire: non posso, non sono all’altezza.
Un po’ come abdicare. Poca responsabilità, ma anche poco gusto.
La tristezza è anche una pigrizia, un ripercorrere strade già calpestate, evitando così la fatica di tracciarne di nuove, fatte della nostra creatività ed unicità.
Ricordo un uomo che conoscevo anni fa, un vero capo carismatico seguito da decine di migliaia di persone. Un giorno disse: “Tutti mi chiedono che cos’ho io, che mi permette di essere come sono; io non ho niente in più di voi, niente, se non il mio sì”.
Il mio sì.
Cos’è il contrario della tristezza?
Secondo me è l’amore.
E amare non può partire se non dall’accettare.
Dire sì, abbracciare, accogliere.
Dire sì, ci sono, mi impegno, ce la metto tutta.
Con gioia.
Quindi, per iniziare a sfilare l’abito della tristezza ho seguito due direzioni principali:
- Ogni volta che il mio volto si dipinge di tristezza, mi ricordo di sorridere.
- Ogni volta che mi proietto avanti nel tempo e mi preoccupo di quel che potrà succedere, mi costringo a rimanere concentrata nel presente e ad impegnare il mio cervello nello scovare le mille opportunità ed attività che la situazione attuale mi porge.
È solo un inizio, ma, come tutti gli inizi, sa di felicità.
Ma io non mi accontento di offrirti solo un inizio.
La parola torna a Megumì, per mostrarti come puoi smettere di essere triste.
Sono triste: cosa posso fare?
Una ragazza mi diceva di essere stata inondata da una grande tristezza nel guardare le foto che parenti e amici le avevano inviato in grandi quantità.
E’ qualcosa che in effetti capitava anche a me.
Quelle foto ritraevano momenti spensierati, gioiosi. Come fanno, delle foto così allegre, a suscitare un sentimento di tristezza?
Dipende dalla direzione in cui stai guardando.
Se tu pensi a quello che non hai (“ecco, loro si divertono, stanno insieme, io invece non ho nessuno”) sarà inevitabile che quei pensieri facciano nascere in te la tristezza.
A me capitava spesso di provare una grande tristezza nel guardare le foto che mi mandavano i miei zii o cugini giapponesi.
Ma come?!
Loro con tanto amore condividevano con me momenti belli di cui volevano, anche se a distanza, rendermi partecipe, e io mi sentivo triste?
A che cosa stavo guardando?
A quello che mi mancava.
A quello che io pensavo che mi mancasse ?
I miei cugini entrambi sposati con tanti figli, grandi e allegre tavolate in cui si riunivano più famiglie, il pensiero che avrei voluto essere lì con loro invece che qui in Italia, dove ho pochissimi parenti…
Invece di essere grata per avere anche loro nella mia vita, grata e felice per il loro gesto di farmi in qualche modo “partecipare”, di farmi sentire una di loro nei momenti importanti di condivisione, stavo perdendo l’opportunità di essere felice, guardando nella direzione sbagliata.
E quella direzione, sei sempre tu a sceglierla, e puoi farlo in qualsiasi momento.
Se rimani nel presente, anziché lasciare che la mente vaghi in un passato che non esiste più o in un futuro che deve ancora venire, se ti guardi attorno osservando tutte le meraviglie di cui puoi godere, le persone da cui sei circondato (quante ce ne sono al mondo!), tutte le opportunità che hai, per amare e dare il tuo contributo, non stai forse iniziando a riempire quel “vuoto”?
Quel vuoto che mai niente e nessuno, a parte te, potrà veramente colmare, perché così come sei tu a creare la tua tristezza, in base alla direzione in cui ti sei abituato a guardare, sei sempre tu che hai il potere di iniziare a costruire dentro di te un meraviglioso caleidoscopio di emozionanti colori.
Invece di pensare a una vacanza che sta per finire, perché non iniziare a mettere cura, passione e amore nel lavoro che fai, ogni giorno?
In ognuna delle faccende quotidiane che forse oggi compi distrattamente e quasi con senso di fastidio?
Perché soffrire per l’allontanamento di una persona, quando ce ne sono a migliaia che aspettano un tuo sorriso, un tuo abbraccio, una tua parola?
In ogni istante della tua vita, se solo distogli lo sguardo da quello che ti manca, quello che non hai, potrai accorgerti delle infinite opportunità che ti circondano, e che aspettano solo di essere notate e colte da te.
E questo puoi farlo sempre, in qualsiasi momento, in qualsiasi situazione e a qualsiasi età.
Mia zia ad esempio ha quasi novant’anni. Era autosufficiente fino a pochi mesi fa, ha vissuto una vita veramente ricca, piena di entusiasmo, di passioni, circondata da amici meravigliosi.
Da quando, a causa di una malattia, si è vista privata delle sue forze, della sua autonomia, è piombata in una grande tristezza, paura per il futuro, ansia, e anche tutto quello che prima le dava gioia, spesso adesso la lascia indifferente.
È molto frequente che dica: “Prima non era così”.
Io dico che prima era diverso. Semplicemente prima c’erano altre cose.
Ma adesso ce ne sono altre. Le opportunità ci sono sempre.
Così cerco sempre di spostare la sua attenzione su quello che ancora, nonostante tutto, può ancora fare.
- Camminare, anche se accompagnata.
- Leggere, anche se con più difficoltà.
- Ascoltare la musica, che ha amato per tutta la vita, anche se con i film le dà fastidio perdere diverse battute.
- Avere la compagnia mia e di mio marito anche se la maggior parte dei suoi amici non ci sono più.
- Non avere dolori fisici, anche se non può avere la forza e l’energia di un tempo.
Se senti che la tristezza sta prendendo il sopravvento, chiediti: “Che cosa posso fare, adesso?”
Come puoi dare il tuo contributo, come puoi fare la differenza nella vita di qualcuno, cosa puoi fare di bello e interessante?
Volgi il tuo sguardo verso la direzione della gioia, della presenza, delle opportunità e inizia a colmare quel “vuoto” che dipende solo da te riempire di felicità.
Di solito pensiamo che la tristezza capiti.
Invece la scegliamo noi nei tanti modi che abbiamo visto finora.
E per lasciarla andare devi spostarti (volgere la sguardo) verso quelle che io chiamo “Le 10 leggi della Felicità“, ossia le regole che governano le tue emozioni positive.
Se tu applicassi ora, queste leggi, se lo facessi in ogni istante (il “presente” di cui hai letto e in cui vivi), allora la tristezza lascerebbe spazio alla gioia, alla gratitudine, all’amore.
Ti va di provare?
Bene, per concludere, allora, ti mostro un video in cui ti spiego quali sono queste leggi: scoprirai che sono tutte a tua disposizione oggi stesso, e che non richiedono altro che la tua voglia di viverle.
Buon viaggio.